Storie di ricerca

Un colpo di coda micidiale! Riportare in vita gli stegosauri grazie alla biomeccanica

Alto 3 metri e lungo 7 metri, M. longicollum aveva uno dei colli più estesi tra gli stegosauri e doveva per questo risultare particolarmente aggraziato nei movimenti. Eppure, quando si trattava di difendersi non scherzava: la sua possente coda poteva produrre forze e pressioni sufficienti a danneggiare qualsiasi predatore. È stato questo uno dei risultati della ricerca condotta nell’ambito della mia tesi di laurea che ha integrato biomeccanica e paleontologia, un approccio che permette di apprendere molto sull’etologia dei dinosauri e di altre forme estinte che riempiono il nostro immaginario

La ricerca paleontologica è da sempre legata al lavoro sul campo e allo studio dei reperti nei laboratori; ha affascinato generazioni di bambini e bambine con le immagini dei dinosauri, avvicinandoli alla scienza, come ben illustrato anche in libri e film più o meno recenti (la saga di Jurassic Park e Susanna, tra gli altri). Personalmente mi sono avvicinato ai dinosauri grazie ai miei genitori che un giorno mi regalarono un dinosauro giocattolo (nello specifico un datato Spinosaurus aegypticus). Quello accese in me la prima scintilla di curiosità nei confronti di questi animali, alimentata successivamente da programmi TV come “La Macchina del tempo” e "Superquark", insieme a riviste per giovani; tutto questo ha continuato ad alimentare la mia passione nei confronti di creature le cui ossa riempivano i musei di tutto il mondo. E mentre io crescevo è cresciuta anche, in particolare nell’ultimo decennio, la spinta tecnologica che man mano ha reso disponibili nuove tecniche e strumenti, prima limitati all’applicazione biomedica e ingegneristica, che hanno favorito e ampliato anche la ricerca paleontologica.

In questo contesto si inserisce la mia tesi di laurea magistrale presso il Dipartimento di Scienze della Terra e in stretta collaborazione con Simone Conti dell'Universida de NOVA de Lisboa e del Politecnico di Milano, in cui ho applicato gli strumenti di modellazione biomeccanica alla modellazione e allo studio del movimento della coda dello stegosauro Miragaia longicollum, uno degli stegosauri meglio conosciuti del Portogallo e d’Europa.

Uno dei colli più lunghi
M. longicollum era un animale erbivoro quadrupede, che poteva raggiungere i 6-7 metri di lunghezza, 2,5-3 metri di altezza e un peso stimato fino a circa 2 tonnellate. Ma, come dice il nome stesso, una caratteristica che rende unico M. longicollum tra le altre specie di stegosauri, è il suo collo che, fatto di 17 vertebre cervicali, è il collo più lungo tra gli stegosauridi. Doveva essere quindi particolarmente aggraziato, ricordando quello dei ben più grandi dinosauri sauropodi, famosi per il loro lungo collo (tipo Piedino de “La valle incantata”). 

Un’altra caratteristica peculiare è la forma delle spine caudali la cui sezione invece di essere ellittica, è sigmoidale (a forma di “S”). Sulla base delle ricostruzioni più accreditate, queste spine potevano arrivare a 22 ed emergevano lungo tutta la coda. M. longicollum è conosciuta in soli tre esemplari, il più completo dei quali conserva 37 vertebre caudali delle 42 ipotizzate.

Forze micidiali
Durante la ricerca che ho svolto per la tesi ho raccolto i dati disponibili dagli studi precedenti su M. longicollum e li ho confrontati con quelli di altri stegosauri, per ricostruire le dimensioni delle vertebre mancanti e ipotizzare il movimento della coda. Modellizzando e assemblando i vari dati con il programma di MBDyn (Politecnico di Milano) - programma per simulare sistemi meccanici complessi - ho creato la simulazione del movimento del modello della coda. Il modello creato ha una lunghezza di 2,64 metri, con un peso totale di 326 chili, di cui 35 chili situati solo sulla estremità della coda. Si è scelto quindi di confrontare i dati ricavati con Stegosaurus stenops, il più famoso degli stegosauri, di cui si sa che utilizzava la coda come arma di difesa contro predatori come Allosaurus fragilis per valutare se anche M. longicollum adottava un comportamento simile. Questa scelta è motivata dalla somiglianza delle faune del Giurassico portoghese con quelle nordamericane. 

Infatti, al tempo di M. longicollum e S. stenops, nel periodo Giurassico (circa 145 milioni di anni) l’oceano Atlantico andava formandosi e Nord America e penisola iberica erano collegate da dei ponti di terra emersa, che permettevano agli animali di migrare da una parte all’altra. Col tempo poi, le popolazioni di animali si sono evolute, adattate ai due ambienti e separate (dal punto di vista sistematico e geografico), dandoci la varietà di forme che possiamo ammirare oggi nei loro resti fossili.

Una volta messa in movimento la coda, sono emersi diversi quesiti: quali forze e pressioni si sarebbero sviluppate durante un eventuale impatto? E le spine avrebbero resistito meglio, rispetto a quelle di S. stenops, a flessione e compressione, grazie alla loro forma peculiare?

Le velocità ottenute con MBDyn hanno permesso di ricavare le forze e le pressioni che la coda poteva sviluppare all’impatto. Sono stati usati tempi di impatto diversi, da 0,5 secondi, considerato un tempo ottimistico, fino a un massimo di 0,87 millisecondi, la media del tempo di impatto di una palla da baseball colpita da un giocatore professionista. Le forze risultanti spaziano da 0,83 chiloNewton, paragonabile a un’auto di 3 tonnellate che impatta a una velocità di 17 km/h, fino a 1 megaNewton (irrealistico a dir poco!) paragonabile alla spinta dei razzi di uno Space Shuttle concentrati in un singolo colpo.

Più per spaventare che per colpire
Questa ricerca ha quindi evidenziato che i programmi usati prevalentemente in biomeccanica possono aiutare molto a capire il movimento delle strutture biologiche come la coda di M. longicollum e dimostrare che l’animale era capace di sviluppare forze e pressioni sufficienti a danneggiare qualsiasi predatore, anche se le sue spine erano meno prestanti, rispetto alle spine di Stegosaurus stenops. Questo dato, unito all’elevato numero di spine ipotizzato, suggerisce che M. longicollum, come S. stenops, potesse usare la coda per difendersi dai predatori, ma che probabilmente preferiva scoraggiarli mettendo in evidenza le spine caudali.

Comprendere come animali estinti utilizzavano strutture peculiari come la coda e le sue spine, permette quindi di comprendere il loro comportamento e ci aiuta a ricostruire le loro abitudini etologiche. Inoltre, migliorare le tecniche di indagine applicando metodologie nuove, farà sì che le ricostruzioni diventino sempre più accurate.

Non si può riportare (fisicamente) in vita un animale estinto milioni di anni fa, ma si può ricostruire il suo aspetto e il suo comportamento al meglio delle nostre capacità, così che la paleontologia evolva come quelle stesse creature che studia e di cui traccia il percorso, che giunge fino a noi.

Non meno importante, questa ricerca dimostra che i nostri sogni d’infanzia, che ci accompagnano fino alla vita adulta (nel mio caso il diventare un paleontologo dei dinosauri), possono realizzarsi per davvero!


Racconto di ricerca supervisionato dalla professoressa Francesca Lozar.