Intervista
Sonia Bertolini
Sonia Bertolini

La società della certezza in frantumi: risposte individuali e collettive

Le nostre decisioni individuali si formano a partire dalle relazioni sociali in siamo immersi e dall’intero sistema politico e sociale. Questo vale ancor di più in situazioni di profonda incertezza come quello attuale. Come reagiamo di fronte al rischio? Che ruolo hanno le istituzioni?
L’approccio sociologico prova a dare delle risposte. Abbiamo intervistato Sonia Bertolini che ha di recente collaborato al progetto Job insecurity and life courses dell’Osservatorio Università e Professioni di UniTo.

Dipartimento / Struttura
Culture, Politica e Società

Come si pone la nostra società di fronte all'incertezza causata dalla pandemia?
Uno dei punti fermi della società moderna occidentale è la certezza - e la supremazia - di un contesto (frame) in cui la razionalità e la scienza posso guidare le scelte individuali e collettive. E, sebbene in generale la scienza e il sapere ci aiutino davvero a superare l’incertezza, l’irrompere di Covid-19, un virus nuovo, con caratteristiche ancora per larga parte da studiare, pone nuovi interrogativi per i quali non si hanno ancora risposte. Qual è il meccanismo di contagio? Quale distanza dagli altri ci pone davvero al sicuro? Mascherina sì o no? Quanto durerà la pandemia? E che impatto avrà sull’economia? Ci arrivano risposte confuse e talvolta contrastanti, il che destabilizza una società che non è più abituata a confrontarsi con l'incertezza.
Da qui le prime rassicurazioni illusorie, riscontrabili nelle prime dichiarazioni: il virus è lontano è in Cina, senza considerare che con la globalizzazione circolano più facilmente le merci e le persone, e quindi anche il virus; il nostro Paese ha il migliore sistema sanitario del mondo, il che è vero per alcuni aspetti…ma si è dimostrato altamente impreparato come ha puntualizzato Giovanni Di Perri in questo evento di Spazio Pubblico online.

Quali meccanismi alla base delle decisioni collettive e individuali entrano in gioco?
Le teorie sociologiche sicuramente ci aiutano a capire questi meccanismi ma ci avvertono anche che le decisioni individuali si formano a partire dalla struttura delle relazioni sociali e dal loro intrecciarsi. Spesso infatti le strategie degli individui si formano sulla base di un mix di informazioni provenienti da diversi livelli (micro, meso, macro) che vengono processate in relazione ad aspetti non solo oggettivi ma anche collegati alla sfera personale. Formulare provvedimenti, politiche e fare comunicazione senza tenere in considerazione entrambi gli aspetti può portare a risultati parziali e fuorvianti, come già era emerso in un nostro studio sull’incertezza lavorativa citato in questo racconto di ricerca. Con Covid l’incertezza collettiva e individuale sono fortemente interconnesse: per l’individuo l’incertezza deriva da un evento spiazzante - come li chiamiamo in sociologia - di natura collettiva e non individuale. Inoltre, si tratta di un’incertezza che ha un forte carattere sociale, in quanto è fortemente collegata al comportamento altrui ma anche alla capacità delle istituzioni di gestire i contagi e i malati e, a livello macro, le scelte di un Paese influiscono su quelle degli altri. La scarsa conoscenza del fenomeno da parte della scienza e la scarsa capacità di controllare il contagio da parte delle istituzioni (al lockdown, indispensabile nell'emergenza, dovrebbe - e non sta accadendo - seguire in tempi brevi una strategia più articolata e mirata) moltiplica l’effetto insicurezza e rimette l’interconnessione tra individui (e a livello macro tra le politiche nazionali) al centro di una società individualistica.

Quali sono dunque le conseguenze di tutto questo sul piano individuale?
In prima battuta si può dire che su ciascuno di noi incombe il rischio di un evento, il contagio, ma anche la perdita del lavoro, di cui non si hanno gli strumenti per valutare la probabilità di verificarsi. Da qui l’ansia che può diventare paralizzante, ma, all’opposto, può prendere il sopravvento il “fare come nulla sia successo” (la cecità volontaria di cui ci ha parlato Mattia Cravero qui, ndr) affidandosi al fato, arrivando a mettere in dubbio o screditare ogni atteggiamento razionale in favore magari di approcci fideistici.
Se vogliamo però addentrarci in una analisi più approfondita, occorre fare delle distinzioni: posso essere un bambino, un giovane, un adulto, un anziano, ma anche un maschio o una femmina, con prospettive di vita e aspettative in quel momento molto differenti. I soggetti più giovani - la fascia di età su cui si focalizza la maggior parte dei miei studi - tenderanno per esempio a dare meno per scontato che la situazione sanitaria sia sotto controllo o che nel corso della propria vita non possano subentrare eventi che scardinano le regole della normale convivenza. Questo avrà una influenza significativa su come gli individui gestiranno i loro corsi di vita e le loro transizioni familiari e lavorative, tenendo conto di un nuovo livello di incertezza.
Per molti giovani (18-25 anni) e giovani adulti (25-35) potrebbe scattare il meccanismo della sospensione della decisione: si tende a slittare la propria pianificazione verso un orizzonte decisionale di breve periodo e diventano problematiche le decisioni “self-binding”, come per esempio diventare genitori o comprare una casa. Diventa razionale posticipare le decisioni di lungo periodo a quando finirà la pandemia, ma potrebbe diventare razionale anche applicare una strategia della massimizzazione dei minimi (Jansen, 2011), secondo la quale gli individui si preparano per la situazione peggiore, e scelgono l’opzione migliore tra le peggiori. Per esempio tra i due scenari estremi “la pandemia finirà in estate perché il virus perderà di potenza con il caldo” e “la pandemia non finirà neppure tra anni perché il vaccino non sarà efficace”, scelgo di proiettarmi nella situazione intermedia: la pandemia finirà tra un anno quando si troverà il vaccino. Il vantaggio che essa offre è che non occorre valutare quali siano tutte le possibili alternative, ma solo la peggiore e l’utilità a essa associata. Questa interpretazione è teorizzata nelle teorie delle decisioni (Hansson, 2005).

Come può fare dunque ognuno di noi per fronteggiare questa situazione in particolare rispetto alla raccolta informazioni?
Trasformare questa emotività o metterla in relazione alla nostra sfera razionale muovendoci verso la ricerca delle informazioni è il primo passaggio per uscirne, ci dicono le teorie psicosociali. Con un caveat: in situazione di informazione confusa e contraddittoria, se non talvolta errata, occorre sapere/potere selezionare le informazioni. Da studiosi e studiose che svolgono indagini sulla base di interviste distribuite a livello individuale dobbiamo sempre tener presente che molto spesso questa selezione passa attraverso le reti di relazioni personali e sociali, e che le decisioni e il calcolo del rischio sono profondamente integrati nel contesto sociale della nazione (il sistema di welfare e di politiche, in interazione con la situazione di crisi economica) nella quale la persone agiscono (Mills e Blossfeld, 2005). L’elaborazione delle informazioni inoltre varia anche in funzione delle proprie esperienze passate, e, nel caso specifico dell’attualità, di malattie passate. Spesso le strategie di reazione più efficaci mescolano elementi razionali e di emotività. Implicano la raccolta di informazioni non ossessiva e selettiva, e l’utilizzo di nuovi strumenti euristici per scoprire nuove soluzioni a nuovi problemi.

Tornando allora al piano istituzionale, che tipo di comunicazione auspicare?
Occorre ridare fiducia istituzionale ai cittadini, ripensando a una comunicazione che tenga conto anche degli aspetti sociali. Quindi ripensare al welfare, alla riorganizzazione della sanità, all’investimento sulla ricerca. Senza dimenticare di comunicare qualche elemento positivo sul futuro. Per esempio stiamo imparando a usare la tecnologia: pensiamo allora a una nuova organizzazione del lavoro che tenga conto maggiormente della conciliazione famiglia-lavoro e dell’ambiente.